Lo storico

A cura di Enrico Ciancarini

Nei primi anni della Civitavecchia postunitaria, rarissimi erano i giovani che avevano la possibilità di proseguire gli studi universitari a Roma o in altre città. Fra i pochi fortunati possiamo annoverare Carlo Calisse che, dopo gli iniziali studi nel seminario cittadino, s’iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza.

Durante il soggiorno romano, Carlo coltivò una stretta familiarità con padre Alberto Guglielmotti, frate domenicano e dotto concittadino, caro amico di suo padre, il notaio Paolo Calisse, che oltre a rogare atti, custodiva l’archivio notarile della città e si dedicava alla sua grande passione per la poesia.

In un articolo pubblicato sulla Rivista della Lega Navale Italiana, nel numero di aprile 1908, Carlo Calisse rievoca lo stretto rapporto di amicizia e collaborazione esistente fra Alberto e Paolo e ricorda le sue frequenti visite all'illustre studioso che andava a trovare in 

convento. Qui i due si intrattenevano su diversi argomenti, certamente fra i quali predominava la storia della città natale:

“A chi scrive questi pochi ricordi egli volle bene come a figliuolo, anche per la memoria del troppo presto perduto suo padre. E quante volte, nella cameretta della Minerva e poi di S. Sebastianello, battendomi sulla spalla, quando io toccavo, forse imprudentemente, argomenti per lui delicati, <<P. Alberto, diceva, è qui dentro (e si toccava il petto), ma ha navigato, e sa dove è fondo e dove è lo scoglio>>. E rideva, e nell’occhio azzurro si accendeva una luce come sul mare, e gli animi rimanevano commossi”.

Padre Alberto era solito indirizzare al notaio richieste perentorie di copie di antichi documenti notarili necessari alle sue ricerche per la storia della marina pontificia. Quando il poeta Paolo era intento a scrivere il poema dedicato a Cristoforo Colombo, spesso pregava il frate e storico “che si aprisse a lui quel zibaldone” che un giorno sarebbe stato pubblicato con il titolo di Vocabolario marino e militare nel 1889 per poter utilizzare nei suoi versi le ricercate parole tramandate dal religioso (in questo Paolo Calisse fu precursore di Gabriele D’Annunzio che tanto attinse dal Vocabolario per il suo alato linguaggio poetico).

Il 15 agosto 1889, l’ormai professore Carlo Calisse, titolare della cattedra di storia del diritto italiano all’Università di Macerata, è chiamato dall’Amministrazione comunale di Civitavecchia a pronunciare il solenne Discorso nelle feste pel millenario della Città. Il Discorso è pubblicato lo stesso anno e ne riportiamo un breve stralcio:

“Centocelle è sul punto di perire per sempre; quando dalla turba si fa innanzi un ultimo oratore. Gli sguardi in lui si fissano, voce non si ode, scuote ogni petto un tumulto di affetti, nella speranza che ei giunga a far cambiare il parere. Egli è Leandro: il marinaio nato a Centocelle, il vecchio in cui l’età non ha spento la gioventù degli affetti, il profugo che sempre portò nel cuore la patria, l’uomo rozzo in quel momento a cose grandi chiamato”.

Leandro! L’uomo rozzo che la leggenda vuole aver dato l’ottimo consiglio agli anziani “in general parlamento alla campagna sotto l’ombra ospitale di alcuna ombrosa quercia” a Cencelle. Padre Alberto così lo eterna nella Storia della marina pontificia: “un vecchio cittadino chiamato Leandro facesse tale arringamento agli uditori che tutti commossi alle memorie della madre patria … come folata di raminghi augelli, finita la contraria stagione, si ridussero al nido primiero”.

Patria era la romana Centumcellae, distrutta dall’invasione dei saraceni a metà del IX secolo. Gli esuli si erano rifugiati nelle boscaglie vicino Corneto e qui papa Leone IV volle costruirgli una nuova città per ospitarli che venne chiamata in suo onore Leopoli ma che gli abitanti in ricordo delle antiche dimore battezzarono subito Centumcellae, poi volgarizzato in Cencelle.

Padre Alberto con le sue belle e robuste pagine ha indirizzato e influenzato i successivi storici della città, prima di tutti Carlo Calisse, che nell’austera cameretta gli poneva mille domande. Gli storiografi di Civitavecchia suoi predecessori, il Molletti, il Torraca, il Frangipani, il Manzi e l’Annovazzi, che lui ricorda in una nota del primo volume della Storia della marina pontificia non menzionano Leandro.

Prima padre Alberto e poi Carlo Calisse hanno edificato il mito del vecchio marinaio Leandro. Dove e quando nasce la sua leggenda? Padre Alberto nei suoi scritti evidenzia che la memoria del nostro eroe “dura il nome del benemerito nella piazza tuttavia chiamata Leandra”. Gli studiosi dotati di logica e sapienza hanno emesso l’imparziale verdetto che prescrive il nome del vecchio Leandro sboccia dagli oleandri che secoli addietro ombreggiavano quello spazio poi diventata la piazza principale della città. Bene, bravi.

Invece chi scrive vuole giocare un po’ con la fantasia diluendola con qualche elemento di mitologia.

Il punto di partenza è una nota all’articolo Statuti della città di Civitavecchia apparso nel 1885 sulla rivista romana Studi e documenti di Storia e Diritto. In esso, Calisse segnala che “in memoria del ritorno degli abitanti di Centocelle da Leopoli e della fondazione di Civitavecchia nell’anno 889 è ordinata la festa solenne di S. Maria del mese di Agosto”. Particolarmente interessante è la nota a queste parole in cui sollecita il Municipio di Civitavecchia a commemorare degnamente tale data:

“Si avvicina il millenario della fondazione di Civitavecchia. Poche sono le città che, come la nostra, possono con tanta sicurezza sapere oltre l’anno, anche il giorno della loro fondazione. È dunque a sperarsi che il Municipio non farà passare il 15 Agosto 1889 senza celebrarlo convenientemente”.

Calisse fa sua la tesi (falsa) che la città di Cencelle sia rimasta in vita solo trentacinque anni. Il giovane professore nel proseguo della nota, evidenzia un dato importante: “finora questa patria solennità è stata festeggiata per tradizione solo fra i marinai; avvegnachè furono i padri loro che, per amor del mare, preferirono alla tranquillità de’ campi le pericolose ruine della Città Vecchia”.

Dà testimonianza di una festa che veniva celebrata solo fra la gente di mare di Civitavecchia e che fra loro si tramandava la tradizione del ritorno al mare scelta voluta dai loro lontani avi.

Nella sua adolescenza e nei primi anni di scuola, il giovane Francesco Guglielmotti, il futuro padre Alberto, con i compagni e il maestro solevano passeggiare per le banchine dello scalo cittadino dove poterono raccogliere “gli ultimi ricordi dei nostri veterani, attori e testimoni del secolo anteriore”. Il frate conserverà per tutta la vita “vivissima la memoria” di questi racconti. I giovani civitavecchiesi pendevano dalle labbra del comandante Andrea Zara e del marinaio bombardiere Carlo Viola che l’incantavano con le narrazioni dei combattimenti contro i Turchi e delle altre perigliose avventure nel Mediterraneo.

In quei racconti che narravano del ritorno all’antica città si citava già Leandro? O è stata la fantasia di padre Alberto, nel mettere su carta le leggende ascoltate, a battezzare Leandro chi diede l’ottimo consiglio?

Che origine ha il nome Leandro? Di origine greca, Leandro può avere diversi significati. La più diffusa etimologia è “uomo leone”; possiamo tradurlo anche in “uomo delicato” o in “uomo calmo”.

Chi scrive preferisce però l’etimo “uomo del popolo” che ben si attanaglia al nostro Leandro che convince e conduce il popolo degli esuli a tornare al mare e a ricostruire la distrutta Centumcellae.

Padre Alberto era uno studioso dalla grandissima cultura classica. Nella mitologia greca Leandro è il giovane abitante di Abido che si innamora di Era, sacerdotessa di Afrodite nella città di Sesto; le due città sono poste sulle rive opposte dell’Ellesponto. Più volte Leandro raggiunge a nuoto l’amata sull’altra riva guidato da una fiaccola che lei pone sulla cima della torre dove abita. Ma una notte la fiaccola si spegne e Leandro senza punti di riferimento soccombe alla stanchezza e annega. Il corpo spinto dalle correnti giunge alla fine sulla riva di Sesto, ai piedi della torre. Alla dolorosa vista, Ero si getta dall’alto e gli precipita vicino “affinchè neanche la morte valesse a separarla da lui”. Dopo il classico Ovidio, il mito di Ero e Leandro è ricordato da Dante nel XXVIII canto del Purgatorio. Padre Guglielmotti è un appassionato lettore e studioso della Divina Commedia.

Proseguiamo il nostro cammino di ricerca e fantasia. Interpretiamo il mito di Leandro affermando che il giovane è l’uomo del popolo che attraversa il mare per ritornare dalla sua amata Ero, che rappresenta l’amore per la patria perduta. Nel mito c’è la tragedia, nella leggenda storica c’è il successo. Padre Alberto ha interpretato il mito in tale maniera e nel creare la figura di Leandro si è ispirato alla tragica storia di amore con Era? Mi piace pensarlo ma è una mia invenzione.

Ripeto e ribadisco che queste righe zampillano dalla fantasia di chi scrive, che per un attimo ha voluto smettere le vesti dell’arido ricercatore di storia, desideroso di regalarsi un momento di svago.

La leggenda di Leandro ancora oggi è considerata da molti civitavecchiesi la vera storia della fondazione della loro Città, confortati in questo dallo stemma del Comune in cui le lettere O.C. sono ancora lette come “Ottimo Consiglio” e la quercia, simbolo di maestà della nostra Comunità, è identificata con quella che ospitò sotto la sua ombrosa fronda il consiglio degli anziani di Cencelle.

A Carlo Calisse la Città di Civitavecchia affida l’onore di ricordare padre Alberto con la solenne commemorazione al Teatro Traiano e con la stesura della lapide che viene posta sul palazzo avito dei Guglielmotti. Calisse negli anni successivi, quando elabora e pubblica la sua fondamentale Storia di Civitavecchia, fa alcuni passi indietro a riguardo di Leandro: nella prima edizione del 1898, parla di commovente tradizione popolare ma già nella seconda edizione del 1936 tratteggia la leggenda e tradizione con maggiore prudenza e distacco.

Dedico queste pagine di ricerca e fantasia ad Odoardo Toti nel giorno in cui avremmo festeggiato il suo novantunesimo compleanno se non ci avesse lasciato pochi mesi fa, il 16 maggio 2021. Odoardo Toti fu un profondo ed innovativo studioso delle origini di Civitavecchia e fu un attento lettore dell’epistolario inedito del Guglielmotti. Da lui abbiamo appreso la verità su Cencelle e Civitavecchia, la loro esistenza in parallelo, la denuncia degli errori commessi dai due grandi storici, forse per ingenuità, nell’accettare passivamente la leggenda di Leandro o forse a crearla.

Le sue ricerche storiche e archeologiche sul campo e le successive campagne archeologiche portate avanti dall’Università La Sapienza hanno confermato che Cencelle visse molto più dei trentacinque anni ipotizzati dal Guglielmotti e che la moderna Civitavecchia rinacque fra il X e l’XI secolo.

Leandro rimane allora una bella leggenda che tale deve rimanere ma passeranno decenni perché i civitavecchiesi meno attenti ai progressi della ricerca storiografica diventino padroni di questa realtà storica.

E dovranno dire grazie soprattutto a Odoardo Toti.


ENRICO CIANCARINI


La sua energia

La Sua Anima

Tutti ricordano Odoardo come un'uomo instancabile, pieno di energie, la sua mente era sempre a lavoro su  progetti da poratre avanti. Continua Galletta